Eric Baret – la postura – 1

L’opposizione occidentale corpo-spirito o corpo-coscienza non risiede nella tradizione della scuola del Trika che sostituisce il corpo come Coscienza. L’assoluto è luce ed espressione, capace nella sua libertà assoluta di creare dei limiti, la dove non c’è ne sono.

Non siamo i proprietari del nostro corpo, ne siamo gli amministratori. Per una gestione equilibrata, dobbiamo fare conoscenza con questa straordinaria macchina. In questa esplorazione, il corpo diventa un oggetto: questa evidenza apporta già uno spazio di libertà. L’investigazione ci porta a realizzare quanto il corpo è condizionato. Eredità di tutto il nostro passato, questa memoria si incontra sotto forma di tensione, reazione o aggressività. L’apertura senza aspettativa nella quale, poco a poco, questo oggetto-corpo potrà liberarsi dei suoi limiti, non ha niente a che vedere con un miglioramento, ne con una fabbricazione, perché il corpo spazio che si rivela è originale. Questa libertà si svela in un “lasciare la presa”, un abbandono delle nostre difese, e non nell’ottica di uno sviluppo personale. La giusta percezione stimola la purezza. Questa purezza interna, non ha niente a che vedere con la purezza fisica.

 

Secondo Abhinavagupta la conoscenza richiede una non-memorizzazione del passato, una freddezza affettiva, il movimento deve essere sempre presenza, che appare e sparisce nell’istante. Lo sguardo sull’esperienza sensoriale come porta dell’esperienza ultima, è un aspetto essenziale del contributo dello sivaismo kashmiro. Questa sensibilità estetica e mistica è lo sfondo di tutta la tecnicità di questo tipo di yoga. La pratica si concepisce come una concretizzazione del presentimento della prospettiva di riconoscere la propria vera natura. Tale è lo sfondo della pratica ultima yogica, “parayoga”, come la chiama Ksemaraja. Le diverse asana non sono state create arbitrariamente ma sono state rivelate in una attenzione non ingombra ai primi rishi. Corrispondono ad una efficienza massima della struttura corporea, mentale ed affettiva. Il tempio indiano si esprime partendo da un unico punto, la Coscienza, e poi si espande nel tempo e nello spazio secondo una espressione specifica di queste: yantra, per formulare le modalità di differenziazione e di riassorbimento. Allo stesso modo, la posizione rituale è uscita dal silenzio per rivelare alcuni aspetti dinamici. Queste espressioni si sveleranno durante l’ascolto dell’asana. Realizzata libera da tutte le tensioni, questa permette la ri-orchestrazione dei differenti corpi sottili, e questa purificazione non è altro che il canto della Coscienza su questi diversi livelli. Se all’inizio, a ragione delle nostre abitudini, della nostra vita fatta di difesa e di aggressione, la presa della postura appare spesso conflittuale o impossibile, questa difficoltà sarà mantenuta generalmente che per poco tempo, perché non significa imparare o aggiungere qualcosa di esterno al corpo ma ri riscoprire degli assi di libertà già inscritte in noi. Il bisogno di una perfezione esteriore é sempre il riflesso di una mancanza di sensibilità. Questa rivelazione dell’asana come attualizzazione di una libertà già presente è la base della tecnicità di questo approccio.