Jacques Lusseryan – Lo sguardo diverso – parte II

La realtà è molto differente da quanto ci si immagina : il fatto di cessare di vedere con gli occhi non significa entrare in un mondo privo di luce.

Nell’istante in cui ho perso la vista, ho ritrovato la luce entro di me. Non ho avuto bisogno di rammentare quello che era stata per i miei occhi, di mantenerne il ricordo : essa era là, nel mio spirito e nel mio corpo, vi era inserita nella sua totalità. La luce era là, accompagnata da tutte le forme visibili, colori e linee, dotata dello stesso potere di crescere, di decrescere, di spostarsi che ha nel mondo degli occhi.

Lo ripeto : l’esperienza che mi era stata data non era quella di un ricordo. Quella luce che continuavo a vedere pur senza i miei occhi era la stessa di una volta. Ma la mia posizione rispetto ad essa era cambiata : ero più vicino alla sua sorgente.

Cosi tutto è chiaro nella cecità, e la chiarezza che vi si percepisce è portatrice, in più di un grande insegnamento.

Fino dalla mia infanzia fui colpito da un fenomeno di una notevole limpidezza : questa luce che percepivo variava a seconda dello stato del mio corpo : stanchezza, riposo, tensione, distensione. Ma molto poco. Le vere variazioni dipendevano dal mio stato psichico.

Se ero triste, se avevo paura, tutte le tinte scurivano e tutte le forme diventavano indistinte. Se ero allegro invece ed attento, tutte le immagini si illuminavano. La collera, il rimorso annerivano tutto.

L’intenzione generosa, la decisione coraggiosa emettevano un potente fascio luminoso. Un po’ per volta compresi che amare era vedere, odiare era la cecità, la notte.

Stessa esperienza per quello che riguarda lo spazio : avevo imparato, diventando cieco, che esiste uno spazio interiore e che questo a sua volta mutava di proporzioni a seconda delle mie condizioni psichiche.

La tristezza, l’odio o la paura non solo scurivano il mio universo, ma lo rimpicciolivano. La quantità di oggetti che ero capace di abbracciare in me, di abbracciare con lo sguardo, diminuiva.

Continuavo, nel vero senso della parola, ad urtare dappertutto. Interiormente esseri e cose divenivano ostacoli, esteriormente non evitato più porte e mobili. Ricevevo cosi una giusta punizione, e subito.

Inversamente il coraggio, l’attenzione, la gioia avevano per immediata conseguenza una specie di esplosione dello spazio. Subito si affollavano in me oggetti, immagini ed esseri.

Stavo di fronte ad un paesaggio e sapevo che tale paesaggio poteva estendersi senza fine, bastava che la mia gioia aumentasse.

E nello stesso tempo divenivo abile, fisicamente : mi orientavo, sapevo servirmi delle mani.

In breve, vi erano due tendenze : o rifiutare il mondo, ed era l’oscurità, erano tutti gli urti oppure accettarlo, ed erano la luce e la forza.

Io credo che la cecità abbia una sua funzione propria, la funzione di ricordare che la tirannia esercitata da uno dei nostri sensi, dalla vista, è ingiusta e di renderci prudenti nel giudicare le percezioni abituali.

Più ancora : la sua funzione è di ricordare l’origine interiore di ogni conoscenza e il meraviglioso potere di sostituzione delle forme percettive e delle immagini.

Questa priorità dell’atto del vedere sulla visione propriamente detta, cioè sulla visione esterna, i ciechi possono conoscerla in maniera diretta.

E’ vero; è vero che i ciechi hanno un udito migliore dei vedenti : grazie al suono essi ottengono una percezione delle distanze e perfino delle forme.

L’ombra proiettata sulla strada dal fogliame di un albero non è solamente un fatto visivo, è anche un’esperienza uditiva. Vi è proprio una sonorità specifica della quercia, del pioppo, del noce.

Si può entrare nella sonorità di un platano come si entra in una stanza, vi si scopre una particolare disposizione dello spazio, delle zone di tensione e delle zone sgombre. Lo stesso si può dire di un muro o di un intero paesaggio.

Ad ogni variazione luminosa corrisponde una variazione sonora. Quello che ascolto appoggiato al davanzale della mia finestra, sotto un cielo grigio e pesante, è lento, tutti i suoni diventano deboli, si spostano per piccole masse discontinue, circolano su uno stesso piano dello spazio.

Ciò che ascolto sotto il sole ha una intensità di vibrazione molto più grande, compaiono dei veri e propri oggetti sonori, i suoni vanno dove vogliono, si incontrano secondo le loro affinità e compongono delle forme.